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Aprile 11, 2023

Il contro-esodo dei cervelli in fuga

Non solo incentivi fiscali, ma anche l’opportunità di poter avere un ruolo d’impatto sul sistema Paese all’interno di multinazionali di HQ italiano e, in aggiunta, scelte legate alla qualità della vita e al work-life balance, sono tra i fattori che convincono sempre più professionisti italiani a rimpatriare.

La cosiddetta fuga dei cervelli, quel fenomeno che vede soprattutto i giovani laureati andare all’estero alla ricerca di migliori opportunità di lavoro e di carriera, sembra aver parzialmente invertito la rotta. Da decenni l’Italia è stata caratterizzata da un flusso consistente di laureati, ricercatori, e lavoratori più o meno qualificati che espatriavano a causa di un mercato del lavoro stagnante. I dati dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) mostrano che sono quasi un milione gli italiani che negli ultimi dieci anni sono andati a vivere fuori dai confini nostrani – e, di questi, circa un terzo è laureato –, mentre si stima che gli espatriati effettivi siano 2,6 volte superiori a quelli ufficialmente registrati all’Aire. 

La fuga dei cervelli ha un alto costo per l’Italia, che secondo Confindustria si aggira intorno ai 14 miliardi di euro all’anno, l’uno per cento del Pil.

Il rischio concreto è che se coloro che scelgono di andarsene sono figure imprenditoriali, capaci di trovare in paesi stranieri politiche a sostegno dei finanziamenti e della nascita di start up maggiormente incentivanti, l’eventuale emigrazione potrebbe ridurre il potenziale di crescita del Paese e rendere ancor più stagnante il mercato del lavoro. Uno studio segnalato dal Sole24Ore stima che «per ogni mille italiani emigrati tra il 2008 e il 2015, ogni anno sono state registrate circa 36 imprese in meno». 

Questa perdita di potenziali imprenditori determina una riduzione delle opportunità professionali per chi sceglie di rimanere a vivere e lavorare qui. «In un Paese come l’Italia, dove la crescita economica è lenta, il livello di istruzione medio è basso e la popolazione sta invecchiando rapidamente, gli alti tassi di emigrazione di giovani talenti innescano quindi una potenziale spirale negativa che rinforza la stagnazione economica», completa IlSole24Ore.

Per far fronte a questo problema, il Governo ha introdotto anche degli sgravi fiscali per convincere i lavoratori espatriati a rientrare nel Paese. Ma quello che pesa di più nella scelta di tornare a lavorare in Italia sono forse i progressi nel digitale, che favoriscono sempre di più il lavoro da remoto. Il controesodo infatti non riguarda tanto i migranti “economici”, ma le figure professionali di alto profilo, attratte dalla qualità della vita in Italia. Con la pandemia e il cambio di passo avuto dal remote working questi numeri si sono ulteriormente alzati. Secondo il New York Times, è stata l’esperienza dell’emergenza sanitaria – più che le politiche governative – a riportare persone di talento in Italia: il giornale riporta la storia di Elena Parisi, ingegnere, che ha lasciato l’Italia a 22 anni in favore di una carriera a Londra, e che è tornata nel Bel Paese per la qualità della vita, «mille volte migliore».

Oggi la percentuale di stranieri che monitora in modo attento le nuove possibilità del nostro Paese è decisamente più alta e il trend si rivolge anche agli “high net worth individuals”, persone straniere con un alto reddito che scelgono di trasferirsi in Italia. Milano, che negli ultimi 15 anni ha fatto crescere la sua economia del 20 per cento, è uno dei principali centri in Italia ad accogliere lavoratori stranieri, tanto che – come riporta Bloomberg – il mercato immobiliare della città ne ha risentito, crescendo ulteriormente: «La città è diventata un popolare punto di approdo per i lavoratori finanziari che lasciano Londra sulla scia della Brexit», precisa la testata americana.

Nel 2020 le iscrizioni all’Aire sono diminuite dell’8 per cento – a causa delle restrizioni agli spostamenti, ma anche grazie alla possibilità di lavorare da remoto per le aziende estere, pur rimanendo in Italia. Nello stesso anno c’è stato un incremento del 20 per cento di rimpatri rispetto al 2019. Questa crescita esponenziale di rientro dei “cervelli” ha avuto come acceleratore la congiuntura economica nella quale il Paese si trova con l’opportunità di “scaricare a terra” il PNRR, che si traduce in investimenti e progetti di ampio respiro, complessità, e impatto, potenzialmente molto attrattivi sul piano professionale.

Inoltre, il bivio del cambio generazionale, all’interno del nostro sistema imprenditoriale, offre interessanti spazi di assorbimento manageriale verso chi ha una storia internazionale che possa innestarsi dentro aziende a forte brand “Made in Italy”, riconosciute a livello globale, per accelerare il proprio percorso di crescita ed espansione internazionale.

Anche per questo, sempre più top manager scelgono di scommettere sul nostro Paese, tornando alla base dopo anni all’estero. È il caso di Daniele Schillaci, AD Brembo, o di Eugenio Sidoli, AD Max Mara, entrambi da poco tornati in patria dopo carriere professionali strutturate per anni in altri paesi (Giappone e Serbia). Due esempi della prima generazione di top manager “expat” italiani che, facendo un bilancio tra il proprio futuro lavorativo e l’alta qualità della vita in Italia, hanno deciso di tornare nel Belpaese.

«Quello che spinge molti di noi a rientrare» dichiara Manuela Andaloro, consulente di marketing e comunicazione per diverse multinazionali, milanese di rientro dopo 15 anni tra Londra e Zurigo «va al di là dei benefici fiscali».  «Il regime rimpatriati sicuramente aiuta l’attrazione dei cervelli (esteri) o il rientro dei cervelli (nostrani), ma c’è molto di più», continua Andaloro. «Professionisti con anni di esperienza all’estero ad un certo punto della loro carriera, dopo esperienze sia professionali che di vita privata in vari Paesi del mondo, e scelgono Milano. La scelgono per la cultura di società aperta, per lo stato sociale, per il potenziale, per le scuole, per la profondità delle relazioni, per i servizi, per il culto del bello e del buono, ma anche per la strategica posizione geografica tra Alpi, mare e laghi, per il clima, e anche, in regioni come la Lombardia, per la digitalizzazione della PA e i servizi al cittadino».

Dunque, quali sono gli elementi vitali su cui dobbiamo costruire il prossimo futuro del Paese? La direzione è chiara secondo Andaloro: «massimizzando i talenti e le eccellenze italiane, di ritorno o mai partite, dando loro una voce forte e di rilievo, facendo leva su informazione seria, cultura, capacità di stare ai tavoli e portare idee e soluzioni a tutti i livelli. Una nuova generazione sta aprendo la strada, focalizzata sul valore della competenza e dell’eccellenza, nel rispetto dei valori e di forti principi etici».

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