La rapida accelerazione dell’evoluzione tecnologica, accentuata dalla spinta innovativa dell’intelligenza artificiale, rappresenta indiscutibilmente un fattore di sviluppo e di discontinuità per le aziende di ogni dimensione e settore. In questo scenario la figura del Chief Information Officer sta assumendo una rilevanza ancora più strategica, divenendo il perno dello sviluppo di impresa.
Il Chief Information Officer ha oggi caratteristiche e un perimetro d’azione che vanno ben oltre quelli tradizionali dell’area IT e si posiziona al centro di un ecosistema aziendale dinamico e complesso, dove il vantaggio competitivo dell’innovazione tecnologica viene valorizzato in pieno solo se inserito in un approccio strategico e operativo più vasto.
Per interpretare questo ruolo, le solide competenze tecniche sono fondamentali, ma non sufficienti: servono un forte orientamento all’innovazione e un bagaglio importante di competenze manageriali a sostegno di uno stile di leadership capace di traghettare la discontinuità e il cambiamento. Serve capacità di visione, cogliere le opportunità tecnologiche emergenti e adattarle alle sfide di business presenti e future, serve capacità di costruire network e relazioni efficaci all’interno e all’esterno dell’organizzazione, serve energia realizzativa in grado di generare consenso, orientare decisioni e comportamenti.
Questa complessità e ricchezza della figura del CIO può essere raccontata in modo interessante attraverso le esperienze di chi la interpreta al femminile, per la prospettiva e le lezioni che offrono rispetto al complesso connubio tra tecnologia, formazione nelle discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria, matematica), visione strategica e di governance e approccio relazionale. The Key ha raccolto le riflessioni e le esperienze di professioniste appartenenti a generazioni differenti, alcune con una carriera già consolidata nel ruolo, altre ancora impegnate in un percorso di crescita verso il ruolo di Chief Information Officer.
Le figure apicali femminili sono ancora una minoranza negli ambiti tech delle aziende, ma è in corso un’evoluzione che dimostra l’importanza di superare stereotipi di genere per permettere di attingere al valore che le CIO possono portare.
Tutte le leader femminili del mondo IT intervistate interpretano il ruolo nell’accezione moderna, come ponte tra l’interno e l’esterno, chiamate a far dialogare ecosistemi eterogenei – clienti, fornitori, ma anche mondo accademico e startup – rapportandosi e cooperando con le funzioni di business, per discutere strategie, opportunità, rischi e progettualità supportate dalla tecnologia.
«Il ruolo di CIO è di collegamento, tra le diverse funzioni business e con il mondo tecnologico», sottolinea Patrizia Urbani di Barilla Group, dove ricopre il ruolo di Global IT VP for Supply Chain, Finance & Administration, R&D and Quality, Sustainability & Internal Audit. «Creare connessioni profonde aiuta ad individuare gli “use case” di innovazione tecnologica con maggiore impatto rispetto alla strategia di business e a impostare le condizioni giuste perché i benefici si realizzino concretamente».
Proprio per questa sempre maggiore centralità nell’ecosistema aziendale, il profilo della CIO è in continua evoluzione, come la tecnologia che deve adottare e gestire. «È un ruolo strategico che è cambiato molto nel corso del tempo», conferma Roberta Ballarini, CIO di RDM Group, con una laurea in ingegneria gestionale e un’esperienza ventennale di gestione di sistemi IT e lavoro sul campo, direttamente sugli impianti di produzione.
"Occorre cercare di capire dove e come la tecnologia può portare valore all'interno dell'azienda e questo è possibile solo capendo il business e i processi che lo sottendono"
Roberta Ballarini, CIO di RDM Group
«Le aziende – spiega Ballarini – investono molto in digitalizzazione attraverso l’adozione di nuove tecnologie, occorre però capire come far performare al meglio queste tecnologie. Il compito della CIO è definire come la tecnologia può ottimizzare i processi e avere impatto sul business. Nella realtà dei fatti si declina però in maniera estremamente diversa a seconda del contesto. Non è possibile adattare lo stesso schema in due aziende diverse. Occorre cercare di capire dove e come la tecnologia può portare valore all'interno dell'azienda e questo è possibile solo capendo il business e i processi che lo sottendono. Tutto quello che può essere valido e portare valore in un'azienda potrebbe non valere per un'altra. Oggi l’introduzione dell’intelligenza artificiale ha esasperato questo concetto, è fondamentale capire come e dove porterà valore».
L’intelligenza artificiale porta in luce il cuore del ruolo della CIO, che è quello di promuovere l’innovazione e di gestire il cambiamento. La tecnologia è il fattore abilitante, ma servono doti manageriali e capacità di gestione della complessità, per scegliere come applicarla in modo che favorisca nuovi modelli di business, nuove geografie, nuovi prodotti, l’evoluzione e l’efficientamento dei processi nelle diverse aree funzionali. Specialmente nella supply chain, oggetto in questi ultimi anni di grandi trasformazioni, dettate dall’impatto sulla sostenibilità e dall’uso dei dati.
Per questo le CIO si sentono innanzitutto leader del cambiamento, spesso chiamate a guidare in prima persona l’innovazione e a mettere in discussione lo status quo. In generale a esplorare il nuovo anche in contesti di incertezza e di ambiguità. Ma declinare tutto questo al femminile è un percorso che deve confrontarsi, specie in Italia, con vari livelli di complessità e sfide che emergono fin dagli anni della formazione.
La prima sfida in questo senso è quella di essere e sentirsi legittimate come leader e come protagoniste del cambiamento.
«Non sempre lo stile di leadership delle donne è effettivamente riconosciuto e compreso, perché può risultare diverso da quello prevalente», sottolinea Patrizia Urbani che ha studiato ingegneria gestionale e ha conseguito un Master al MIP (School of management del Politecnico di Milano) e oggi gestisce un team di 15 persone dove un terzo sono donne. «Si tende a mettersi meno in evidenza, – spiega – spesso focalizzate soprattutto al raggiungimento dei risultati, si trascura una componente importante, quella della comunicazione, quindi può servire più tempo per essere percepite come leader capaci di guidare il cambiamento».
Le barriere latenti iniziano a emergere fin dai banchi delle scuole superiori e dei corsi universitari, quando le ragazze che scelgono di studiare le discipline scientifiche e ingegneristiche sono in minoranza: secondo i dati Istat sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali nel 2022, tra i laureati di 25-34 anni in materie STEM, le donne sono meno di un quinto: il 16,6%.
"La crescita è un percorso non solo di acquisizione di nuove competenze tecnologiche
a supporto del business, ma anche e soprattutto manageriale:
sei efficace se tutto il tuo team lo è "
Patrizia Urbani Global IT VP for Supply Chain, Finance & Administration, R&D and Quality, Sustainability & Internal Audit Barilla Group
«Mi sono laureata in ingegneria informatica, con specializzazione in robotica e intelligenza artificiale, un ambito di studi prettamente maschile», racconta Mona Mohamed Soliman, che è Head of Digital Ambiente and Operational Technology Solutions in A2A, dove è arrivata dopo aver guidato per anni un team di analisi dei dati in Prysmian. Soliman è una giovane manager di famiglia egiziana, che racconta come già dai banchi universitari la presenza femminile nella facoltà di ingegneria informatica fosse esigua e come questo si rifletta nel mondo del lavoro. «Eravamo tre ragazze in facoltà il primo anno e più di duecento ragazzi. Questo poi si rispecchia anche nel mondo del lavoro, perché le strutture digital e tecniche sono costituite per la maggior parte da uomini. Si fa fatica per questo a mantenere e valorizzare i propri tratti di leadership al femminile».
Il contesto familiare egiziano ha rappresentato per lei un vantaggio, per l’approccio culturale che valorizza e incentiva un percorso in materie scientifiche per le donne: a casa è sempre stata incoraggiata rispetto alle scelte del percorso formativo e questo l’ha resa ancora più convinta del percorso intrapreso.
"Eravamo tre ragazze in facoltà il primo anno e più di duecento ragazzi.
Questo poi si rispecchia anche nel mondo del lavoro, perché le strutture digital e tecniche sono costituite per la maggior parte da uomini"
Mona Mohamed Soliman, Head of Digital Ambiente and Operational Technology Solutions in A2A
Non è sempre così. Anche le altre manager intervistate hanno intrapreso studi in prevalenza tecnico-scientifici: la maggior parte è laureata in ingegneria, soprattutto gestionale, ma non mancano lauree in informatica ed elettronica oltre che in economia, con successive specializzazioni in Innovation, Digital Transformation e Management. Ma insieme al percorso di studi, diventa decisivo l’appoggio o meno ricevuto dalla famiglia nell’intraprendere una carriera che i bias sociali percepiscono ancora a prevalenza maschile. Se da un lato avere genitori laureati in discipline STEM diventa uno stimolo ad affrontare questa carriera, dall’altro la motivazione può venire (sorprendentemente) anche da una contrarietà iniziale da parte della famiglia, a cui si risponde con la volontà di dimostrare il proprio valore e di scardinare bias e stereotipi.
I compiti della CIO contemporanea richiedono una capacità di interagire con la complessità che premia chi ha affrontato sfide di genere, culturali e formative, attraverso il dialogo e il confronto. Questa propensione all’ascolto e al dialogo si riflette anche nella gestione del team, un altro tema centrale nella definizione delle caratteristiche del ruolo di Chief Information Officer.
«Uno dei fattori critici di successo nella mia carriera è stata la gestione delle persone», racconta Patrizia Urbani. «La crescita è un percorso non solo di acquisizione di nuove competenze tecnologiche a supporto del business, ma anche e soprattutto manageriale: sei efficace se tutto il tuo team lo è. Coinvolgere le persone a tutti i livelli, generare fiducia nell’organizzazione, trasmettere passione per le sfide aziendali in una logica inter-funzionale è uno dei miei principali focus».
Il team, aggiunge Roberta Ballarini, deve essere accompagnato a sviluppare il giusto mindset culturale: «Da parte di tutto il team, a tutti i livelli, serve la capacità di creare e implementare una roadmap di evoluzione tecnologica, un mindset fortemente orientato all’innovazione; servono visione, sensibilità ai trend evolutivi, capacità di coglierne le opportunità e di comprenderne le possibili applicazioni. È un traguardo che richiede alle CIO di agire con uno stile di leadership improntato all’ascolto, non solo del mercato, ma anche in particolare dei membri del proprio team, favorendo un clima positivo e di fiducia, incoraggiando la cooperazione e l’integrazione di competenze diverse sempre più necessarie per la complessità delle sfide delle funzioni IT. Un approccio indispensabile per muoversi in scenari che premiano l’inclusione, l'ibridazione delle competenze e la capacità di muoversi trasversalmente all’organizzazione, in un’ottica interfunzionale».
Una gestione del team orientata alla valorizzazione dei risultati è, in questo senso, un elemento su cui può esprimersi al meglio il potenziale della leadership al femminile. «Il mio obiettivo è far comprendere alle persone quanto sia importante perseguire i risultati con tenacia e passione anche in condizioni di incertezza», sottolinea Michela Bambara, Chief Digital & Information Officer di Epta Group. «Ciascuno si guadagna la propria crescita professionale agendo in coerenza rispetto agli obiettivi aziendali prefissati e con la capacità di portare le proprie competenze o arricchirle se necessario. Senza questa consapevolezza è difficile che le persone riescano ad emergere».
"Bisogna saper trovare l’equilibrio e mediare tra l’esigenza di accelerare l’innovazione e presidiare attività standard. Bisogna alzare sempre più in alto l’asticella della trasformazione"
Michela Bambara, Chief Digital & Information Officer di Epta Group
Per Bambara, «oggi interpretare il ruolo di CIO significa essere poliedrici, sapersi adattare alla missione che ciascuna azienda richiede. Bisogna saper trovare l’equilibrio e mediare tra l’esigenza di accelerare l’innovazione e presidiare attività standard. Bisogna alzare sempre più in alto l’asticella della trasformazione, ma non troppo velocemente, bisogna saperla accompagnare gradualmente. Bilanciare quello che viene dall’esterno con la cultura interna dell’azienda. Penso che l’essere donna aiuti a comprendere di più i segnali deboli dell'organizzazione, interpretando la propria leadership coerentemente, con un approccio "win-win" per tutti gli stakeholders, alternando, a seconda del momento e dell'area di processo, un ruolo più di supporto con un ruolo di challenge che acceleri la trasformazione».
Occorre quindi, in definitiva, una grande flessibilità. Da questo punto di vista le CIO, spesso consapevoli delle sfide che hanno affrontato nel loro percorso professionale, tendono a creare un ambiente di lavoro sostenibile, attento al work life balance e quindi per sua natura molto orientato alla flessibilità.
«Significa – aggiunge Bambara – creare un contesto in grado di accogliere le esigenze dei singoli: flessibilità culturale prima ancora che organizzativa, che si costruisce attraverso la creazione di un dialogo aperto e costruttivo con tutti i membri del team».
Anche Annamaria Di Ruscio, CEO di NetConsulting Cube, società di consulenza dedicata all’analisi del mercato digitale, riflettendo sul proprio percorso di protagonista della digital transformation cominciato nel 1992, agli albori della Rete, si dice convinta che le CIO siano spesso attente e propense a creare condizioni di lavoro sostenibili, che vanno incontro alle esigenze del proprio team. E portano un valore aggiunto originale in azienda: «Un modo diverso di agire, più collettivo e meno individuale, che deve essere preso a modello quando le aziende devono trasformarsi nell’organizzazione delle competenze».
«Il modello di sviluppo è profondamente cambiato rispetto al passato», aggiunge Di Ruscio. «Le aziende devono mettere in linea complessità che non sono schematizzate, bisogna allargare la platea degli intelletti, non mantenere i silos, le gerarchie, con schemi di promozione e carriera ormai superati. Se guardo a come si compongono i team di innovation, osservo come ormai al fianco di ingegneri e informatici ci siano anche letterati e filosofi, artisti, fisici. Il mondo non è più lineare, come gli schemi che sostenevano il passato, occorre adottare approcci diversi».
"Il modello di sviluppo è profondamente cambiato rispetto al passato.
Le aziende devono mettere in linea complessità che non sono schematizzate, bisogna allargare la platea degli intelletti, non mantenere i silos, le gerarchie, con schemi di promozione e carriera ormai superati"
Annamaria Di Ruscio, CEO di NetConsulting Cube
L’approccio flessibile è condiviso da Cristina Simonetto, CIO del Gruppo Synlab Italia: «Le donne mostrano una maggiore flessibilità nella gestione delle persone e nell’orientarle al raggiungimento dei risultati. Per questo credo che uno degli strumenti sia per esempio l’adozione dello smart working in modo intelligente, proponendo giornate lontane dall’ufficio e parallelamente giornate in cui le persone possano condividere l’ambiente lavorativo: è un modo per consolidare il gruppo, per scambiare e generare idee».La gestione delle relazioni con peer e team diventa più quiet, è capace di coniugare determinazione ed empatia, facilitando la collaborazione e il raggiungimento dei risultati. «Le CIO sono propense a lavorare sulla sintesi, a smussare le contrapposizioni e a trovare punti di convergenza, – è l’analisi di Di Ruscio – il modello competitivo-aggressivo non funziona più. Oggi siamo di fronte alla necessità di affrontare la realtà aziendale come concetto di ‘ecosistema’ e ‘azienda rete’, dove si vive di relazioni e network e si lavora in maniera integrata».
Resta la realtà da superare, fatta di barriere invisibili e latenti che condizionano soprattutto la prima parte della carriera, unita alla pressione generata da contesti in cui occorre esporsi e competere a ogni costo: in situazioni di lavoro poco flessibili, si rischia talvolta di rispondere non facendolo affatto, nell’attesa di essere notate. Questo circolo vizioso fa sì che le professioniste che aspirano a ruoli apicali nelle funzioni Information Technology facciano fatica a emergere e spesso rinuncino a farlo.
"Le donne mostrano una maggiore flessibilità nella gestione delle persone e nell’orientarle al raggiungimento dei risultati. Per questo credo che uno degli strumenti sia per esempio l’adozione dello smart working in modo intelligente… è un modo per consolidare il gruppo, per scambiare e generare idee"
Cristina Simonetto, CIO del Gruppo Synlab Italia
Non aiuta il fatto che la presenza ancora numericamente ridotta delle CIO spinga chi si sta approcciando al ruolo ad avere difficoltà a trovare delle role models. Sono poche le CIO che hanno avuto a loro volta delle mentor donne. Alcune colmano questa lacuna con percorsi interni all’azienda, aprendo i confini tra i team e facendo incontrare figure apicali e manager di settori differenti. Sulla base della sua esperienza diretta, Cristina Simonetto ha compreso l’importanza di percorsi di coaching e mentorship e se ne è fatta promotrice: «Ho introdotto una relazione circolare – racconta – per cui le persone del mio team hanno avuto la possibilità di confrontarsi con figure apicali in azienda anche di altri settori; io a mia volta mi sono resa disponibile come mentor».
«Sto lavorando sulla mia squadra – conclude Simonetto – con percorsi di formazione che permettano alle persone di poter sviluppare le proprie competenze manageriali. Valorizzando le soft skill notiamo l’aumento dell’efficacia delle digital skill»
Alcune delle sfide che le CIO si trovano ad affrontare potrebbero essere gestite in modo più efficace attingendo alla forza collettiva del network di chi fa lo stesso lavoro. C’è una scarsa propensione al networking tra le CIO e questo si traduce in minore opportunità di condividere esperienze e trovare soluzioni. «Nelle donne noto che non sentono l’esigenza di essere visibili, non fanno network e questo toglie loro visibilità e opportunità», evidenzia Michela Bambara, che è impegnata nella gestione di un forum tra CIO al femminile. «Forse c’è poca consapevolezza, poca abitudine. A questo si aggiunge ovviamente anche la difficoltà di trovare il tempo di partecipare a questi eventi, a rischio di perpetuare uno stereotipo di genere, e coniugare impegni lavorativi e familiari».
Fare network, creare connessioni all’interno e all’esterno dell’azienda è la strada per aumentare la consapevolezza sui punti di forza e di crescita che emergono nel mondo dell’IT, per riconoscere un dato di fatto: quello del CIO è un ruolo sempre più strategico per le aziende. Servono doti di leadership, competenze, soft skills e visione. L’esperienza delle CIO che oggi rivestono questo ruolo in azienda e delle manager che ambiscono a rivestirlo dimostra che declinare tutto questo al femminile genera valore. E offre uno sguardo originale in un ambito che è il cuore di tutti i processi e un fattore critico di crescita e successo.